Associazione "La Mano Sulla Roccia"

5° INCONTRO DEL 22-01-2020 al “Giardino del Poeta”- TRASCRIZIONE

5° INCONTRO DEL 22-01-2020 al “Giardino del Poeta”- TRASCRIZIONE

 

 

5° INCONTRO DEL 22-01-2020 al “Giardino del Poeta”

 

Questa sera vorrei invitarvi a leggere un libro che non è edito ancora. E' edito mentre parlo perché parlando colgo prima le parole e poi l'idea che vi è nascosta.

Non è edito perché il libro più importante che possiamo leggere sta in noi stessi ed ha la caratteristica di essere creativo. Mentre lo si dà... alle stampe, il contenuto già cambia.

La crescita permanente è l'adolescenza perenne, cioè è l'avventurarsi nel nuovo, cosa che fa paura perché il nuovo non è già ben conosciuto e, quindi, spaventa. Nel nostro libro ci sono pagine e pagine non lette né leggibili, cioè caratterizzate dalla paura.

Come si vince la paura? Questo è un interrogativo al quale ciascuno di noi può dare una risposta. Ma noi vogliamo la ricetta già bella e fatta...

Parecchi anni fa ho scritto un articolo intitolato "Anche i vecchi vanno a scuola" intendendo per scuola l'apertura al nuovo perché "scuola" significa "tempo libero", "tempo del divertimento". Un gioco già bello e scontato non è un gioco. Un gioco, per essere tale, deve essere imprevedibile.

Questa paura oggi aumenta continuamente in forza del flusso informazionale che arriva da tutte le parti, ma la paura che più conta è quella che si insedia dentro di noi ed è la paura del futuro perché pare che non ci sia prospettiva di speranza. Ma la nostra dimensione antropologica è quella di guardare avanti. La caratteristica essenziale dell'uomo è esattamente la capacità di prevedere. Per questo motivo, l'uomo è un soggetto progressivo. Solo la persona progredisce. Invece, gli animali si adattano. Tra adattamento e progresso c'è un abisso. L'adattamento avviene davanti all'ambiente che cambia. Il progresso, invece, è quello che cambia l'ambiente. Il progresso richiede creatività. L'adattamento richiede... adattabilità. L'uomo è adattabile e progressivo. Il sistema tende a dargli più una caratteristica adattiva che non progressiva, ma l'uomo più si mette in una condizione adattiva, più rinnega la sua caratteristica essenziale che è quella della progressione. Però il progresso comporta lo scontro con la paura.

Dobbiamo allora cercare di camminare lungo il percorso che da una parte agevola la nostra progressione e dall'altra parte ci fa vivere una buona disponibilità adattiva in modo tale da non arrivare al compromesso ideologico che ci fa rinnegare la nostra caratteristica di esseri progressivi. Dobbiamo, invece, avere la capacità dell'accoglienza che si chiama tolleranza ed è la disponibilità ad accogliere l'essere nel suo processo.

La creatività è caratteristica essenziale della persona nello sviluppo della sua personalità, così come la dimensione di progresso, l'avventurarsi ad affrontare la paura... Ma se uno non sa che cos'è questa paura, diventa sempre più difficile affrontarla.

Innanzitutto dobbiamo fare una netta distinzione tra paura e fobia. La paura è una dimensione reale che nasce di fronte ad una situazione di pericolosità per cui l'organismo biopsichico si predispone alla difesa che può essere o di fuga o di attacco. L'importante è conservare una delle leggi più importanti dell'organismo vivente che è l'omeostasi, cioè il proprio equilibrio.

Di fronte ad un attacco il soggetto, più genericamente il vivente, deve trovare il modo per conservare il proprio equilibrio. Quindi, o attacca o fugge. Se prevede la vittoria, attacca. Se prevede la sconfitta, fugge.

Noi ci troviamo di fronte ad una situazione socio ambientale che è di gran lunga superiore alla consapevolezza delle nostre forze. Mentre l'attacco, fino a qualche tempo fa, era in qualche modo dominabile dall'energia del singolo, oggi l'attacco è talmente grande per cui il soggetto si rimpicciolisce sempre di più e si convince di non avere alcuna possibilità di dominare l'evento. Così, inevitabilmente, la paura sale ed opprime il soggetto. Quest'oppressione porta all'angoscia quando il soggetto non si sente più capace di sgusciare via da una situazione di enorme pericolosità vista come impossibilità al superamento della difficoltà.

Dando uno sguardo orizzontalmente, voi trovate che le persone oggi si sentono più appesantite di ieri. Per non arrivare a questo, si dovrebbe cercare di maturare un processo di lettura storica in cui si inserisce anche un elemento metastorico, cioè che non si fermi nella storicità dove la persona può sentirsi schiacciata di fronte al carico insostenibile del peso della situazione universale. Come può l'uomo oggi recuperare un senso di dominanza sulla situazione oggettiva che tenta di schiacciarlo? La globalizzazione è un elemento che produce questi effetti. Un processo in cui il soggetto può essere triturato dal colosso della globalizzazione, dal Leviatano che giunge a noi senza misericordia, si scontra con una parolina semplice di un libricino che non è stato letto bene perché è dentro di noi. E' il Regno di Dio che viene edito se è stampato fuori. Il passaggio dall'interno all'esterno è il "pusillus grex", il "piccolo gregge" (Lc 12,32).

Di fronte alla mastodonticità dell'evento che sopraggiunge, la piccolezza del singolo è sparuta, quindi subentra immediatamente lo sconforto e la paura che può giungere addirittura all'angoscia quando non c'è prospettiva.

La paura, sotto un certo aspetto, può essere reale, sotto un altro aspetto può essere anticipata o inventata dalla fantasia o evocata dal passato. La paura cresce di fronte al nemico da abbattere. Ma noi abbiamo il "pusillus grex": "Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno", cioè la parola di Gesù Cristo che venuto tra gli uomini, dà loro il coraggio, perché tutte le paure convergono verso un'unica paura che è quella della morte. Basterebbe eliminare la paura della morte e, automaticamente, si sgretolerebbero tutte le altre. Se abbiamo paura della morte, dobbiamo capire come ci possiamo rapportare con essa. Non intendo quindi parlare della morte, ma della vita che se viene vissuta con coraggio, si libera anche dalla paura della morte.

Come avviene questo processo di affiancamento della vita con la morte, della morte con la vita? E' difficile, perché noi normalmente siamo abituati a considerare la morte come un evento che sopraggiunge alla vita, come un estraneo alla vita che arriva e la stronca. Altro fatto è, invece, cogliere che la vita è intessuta di morte e non è possibile la vita senza che inglobi la morte. Il morire è vivere. Chi muore di più nella quotidianità? Il bambino! Perché ha un metabolismo accelerato.

E' difficile capire come sia impossibile vivere senza mettere dentro la vita il... condimento della morte. Basta accorgersi che una qualsiasi attività che noi facciamo, il respirare, il mangiare, il bere, è in stretta relazione al fatto che l'ossigeno è terminato, che la riserva proteica è finita, che la riserva idrica si è esaurita... Noi mangiamo per "rifarci". Il luogo dove si mangia, infatti, si chiama "refettorio" (da "reficio"). Mi rifaccio le forze che si sono annullate perché sono state utilizzate e, quindi, non restano.

Se noi capiamo che la nostra vita è vitale in quanto è mortale, allora la morte non è che deve sopraggiungere, ma si deve soltanto esprimere. Noi viviamo la nostra vita facendo esprimere la morte. A mano a mano che una cellula della pelle muore, che un capello cade, che una pipì attraverso le emazie porta via le cellule morte del sangue filtrato dai reni, noi ci rendiamo conto che stiamo morendo mentre viviamo, mentre respiriamo, mentre mangiamo, mentre beviamo, mentre facciamo la pipì. Tutto è elemento di vita.

Il libro che dobbiamo leggere e che sta dentro di noi, dice: "Io vivo se so morire". Quindi non morire quando... sarà, ma morire nella quotidianità perché in questa io mi ritrovo in un metabolismo che è biopsichico. Non si ha un metabolismo solo fisico, ma un metabolismo globale. Ciascuno di noi cambia, ma non solo in un settore, bensì nella totalità del suo essere.

Allora, se la paura ci fa... paura, vuol dire che non siamo entrati nel gestirla con amore perché se riusciamo ad amare la paura che ci terrorizza, questa perde il potere di essere avversaria.

Siccome la vita ingloba la morte, se amiamo la vita, amiamo la morte. Quanto più io vivo, tanto più posso entrare in un rapporto simbiotico. Ciò significa che io tanto più vivo quanto più accelero il metabolismo, quanto più sono progressivo, quanto più mi avventuro nel nuovo, quanto più vado a scuola nel divertimento... Così facendo, mi rendo conto che la vita sta nelle mie mani. Naturalmente, queste non sono sequenze di parole, ma sequenze di stati d'animo. Significa che io entro nel superamento della conflittualità vita - morte.

Noi non conosciamo tante cose, per esempio, il nostro libro non letto, la potenzialità che sta dentro di noi che ci dà l'opportunità della vita... Se noi non morissimo quotidianamente, non avremmo alcuna possibilità di vivere né singolarmente né collettivamente. Se non si morisse, avremmo l'umanità distrutta. E' nella continuità della morte che è possibile la vita. Ma è difficile che noi sradichiamo la mentalità che abbiamo dei funerali, del pianto, delle lacrime e di tutto il resto e recuperiamo l'espressione di Uno che è venuto nell'umanità per liberarla dalla paura della morte, origine di tutte le paure.

La morte non è da temere perché è una... celebrazione, perché è un vivere profondamente la vita, perché è un inno alla vita.

Se facciamo però questa riflessione e la collochiamo nell'ambito del sentimento pregresso, facciamo una grossa fatica a capire il bambino che muore di cancro "senza nessuna colpa" perché noi spesso colleghiamo la paura con la dimensione del castigo e, quindi la morte come intervento punitivo.

Vedete allora come siamo legati ad un tipo di vita che è mortale e che però chiamiamo "vita". In effetti, più noi manteniamo il legame con i preconcetti che abbiamo in testa, più pensiamo di essere attaccati alla vita. Invece, quanto più siamo elastici nel superare la mentalità della morte intesa come disastro, come punizione, più crediamo di essere persone non attente e insensibili alla vita.  

Poco fa, qualcuno mi ha detto: "Io prego molto per te". Ho detto di... non farlo perché pregare è come invitare Dio ad intervenire per modificare la realtà che non è... digeribile.

Gesù, invece, dice: " Guardate i gigli, come crescono: non filano, non tessono: eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Se dunque Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, quanto più voi, gente di poca fede?" (Lc 12,27-28). 

Quando tornate a casa, leggete il 12° capitolo di Luca e vi troverete che Gesù invita l'uomo a non aver paura della morte. Anche S. Paolo, nell'8° capitolo della lettera ai Romani, scrive dell'eliminazione del timore della morte. Giovanni, poi, nella sua prima lettera, al 4° capitolo, dice che il timore è segno di non amore perché vuol dire che tu temi che l'altro ti punisca, ma se tu ami e ti senti amato, non vai proprio a pensare che l'altro sia orientato all'annientamento di te. Quindi, il discorso della provvidenza, il discorso della libertà dalla paura per avere la libertà di vivere la vita con tutto ciò che alla vita è inerente nel processo permanente dell'apertura al nuovo, ti portano a capire che la tua non è una vita che compare e scompare, ma è una vita che ha una caratteristica di permanenza che sta nella consapevolezza della relazione, che è legata alla relazione con il Padre. Il padre è padre quando c'è un figlio e il figlio è tale quando c'è un padre. La relazione è simultanea, non c'è prima l'uno e poi l'altro. La relazione sorge e permane. E' questa relazione che dà alla vitalità che si avvicenda, la possibilità di rimanere nella consapevolezza della verticalità, cioè nell'atto dell'autocoscienza, il soggetto può estendere il proprio sguardo all'infinito del passato, all'infinito del futuro, richiamandolo tutto nella realtà del presente che è l'istante eterno dove la morte non ha nessuna possibilità di insediarsi come elemento distruttivo, ma solo come elemento costruttivo.

Quindi lo stress che è legato alla paura della morte non può che essere un eustress.

Il distress c'è quando vedo la morte come una catastrofe. L'eustress si verifica quando vedo la morte come il momento, come il movimento che mi conduce alla piena realizzazione del mio essere che annulla la conflittualità tra me e l'altro perché nella relazione c'è un processo simbiotico con il Vivente.

Gesù si presenta all'umanità dicendo: "Io sono la vita" (Gv 14,6), non "Io ho la vita". Chi entra in relazione con Lui entra in relazione con la Vita, con l'Eterno che è la vita permanente, e non può avere paura. Se ce l'ha, vuol dire che non è entrato in questa relazione e, quindi, resta catturato nell'ambito della storicità come attimo fuggente che non è più ripetibile perché l'attimo fuggente si inabissa nel nulla eterno e non si ripresenta più. L'istante, invece, sta nella verticalità dell'atto di consapevolezza della relazione con il Padre che è avvenuta, avviene ed avverrà nella totalità del proprio essere.

Quindi, la progressione non è sottrazione di vitalità, ma è densificazione di vitalità, densificazione che coincide con la divinizzazione dell'umano. L'umano, cioè, nel vivere intensamente la sua umanità, vive intensamente la divinità perché l'Altro che entra in relazione non lo fa in modo oppositivo, ma in modo compositivo; non entra in relazione per escludere l'uomo, ma per includere l'uomo.

Ci sarebbero centomila applicazioni da fare soprattutto in una società esclusiva, una società che emargina, che non favorisce l'espressività delle singole... pubblicazioni della biblioteca umana, perché ogni persona ha certamente da esprimere esperienze che non possono essere trovate in altro libro. Quello di ciascuno di noi è un libro non edito. Può pubblicarlo solo il soggetto che ha il coraggio di farlo, che non ha paura della morte, altrimenti si rintana nel suo guscio e non esprime la sua personalizzazione.

Quindi, il linguaggio, anziché avere il suo aspetto ontogenetico, finisce per essere ripetitivo, cioè non creativo. Il linguaggio ripetitivo è contrario alla persona. Il nostro linguaggio non può non essere nuovo di volta in volta. Quanto più ci arrocchiamo nella ritualità permanente, tanto più ci chiudiamo nella dimensione antibiotica.

Ma un evento doloroso come il suicidio di un giovane che getta nella disperazione un ateo, che cosa dovrebbe attivare invece nella mente di un cristiano?

Il cristiano non è una definizione. Nella concretezza esistiamo così come esistiamo. Quando ricorriamo alle definizioni, purtroppo incorriamo nel grosso errore di metterci in uno stato di obbligatorietà ad essere quello che abbiamo definito prima ancora di essere! Più semplicemente: la frase di Gesù "Sia il vostro parlare sì, sì;  no, no" (Mt 5,37) ha una profondità straordinaria dal punto di vista filosofico. Il cane fa... il cane ed attua la sua dimensione naturale di nascere, crescere, riprodursi e morire senza porsi alcun problema. Noi non siamo cani, però quando ci diamo da fare, già sappiamo di non poter cambiare il mondo, anzi, più ci organizziamo la vita (con la globalizzazione, per esempio), più creiamo un dissesto generale da rendere la terra invivibile. Allora che dobbiamo fare? I pigmei? I neandertaliani?... Quelli li abbiamo distrutti! Mi viene in mente una scoperta recente di un napoletano, Giuseppe Testa che frequentava la nostra comunità all'Ascensione, ora direttore del laboratorio europeo di oncologia staminale e docente di biologia molecolare all'Università di Milano, che ha trovato il gene che presiede alla rotondità della faccia e alla ritrazione del grugno, gene che modificò il neandertaliano in homo sapiens. Questo gene è presente anche in quelli che hanno la sindrome di Williams, affetti da una personalità eccedente, che vedono tutti come fratelli e li abbracciano. L'opposto di questo è l'autismo che porta a chiudersi in sé.

A Napoli, purtroppo non c'è troppo spazio per leggere il proprio libro perché siamo affetti da una sorta di vigliaccheria generale. Non riusciamo neanche a dare spazio al libro di chi ci sta accanto. Provate a pensare a cosa si nasconde sotto la sua pelle quando ha potuto pubblicare il suo libro perché io gliene ho dato l'opportunità... Oppure pensate a quanto ciascuno ha impedito la crescita dell'umanità e, quindi, della vita per cui l'altro non si è potuto manifestare per quel che è e si è dovuto chiudere nell'autismo senza potersi sviluppare nella sua adolescenza.

Nella concretezza, noi, purtroppo, non abbiamo il coraggio di manifestarci nella nostra genuinità, nella nostra novità. Se noi avessimo la possibilità di aprirci, probabilmente non dovremmo ricorrere alla comunicazione a distanza. Infatti, non comunichiamo con il vicino e ci predisponiamo ai tumori cerebrali con i cellulari. Facciamo una quantità di cose che non sono naturali mettendo le premesse perché le cose vadano male.

Gesù Cristo ha detto: "Avete inteso che fu detto agli antichi..." (Mt5,21). "Ma io vi dico" (Mt 5,34) ed ha rotto il sistema della ripetizione. E' stato Uno che ha innovato, ma noi, a distanza di 2000 anni ci siamo ritrovati ad avere un ripristino delle cose antiche.

S. Paolo veicolò il giudaismo nel cristianesimo, perché essendo lui discepolo di Gamaliele, maestro giudaico, ripropose il messaggio di Gesù all'interno di un modello ripetitivo giudaico.

Ma Gesù era venuto per dare un input alla vita per cui solamente chi è in grado di giocare uscendo fuori dalla bara dello scontato e si avventura nella scuola vera, non quella che abitua i soggetti ad essere nel rito, Lo segue, perché nella scuola, dall'asilo all'università, c'è un indottrinamento, un'imbutizzazione. Se noi oggi più di ieri continuiamo a fare questo, allora è chiaro che non troviamo più lo spazio per dare a noi stessi l'opportunità di vivere rischiando permanentemente.

L'elemento portante della vita è il rischio. Chi non è in grado di rischiare di morire non è degno di vivere perché la vita è un rischio permanente. Ogni volta che si esce di casa, non si sa a che cosa si va incontro, a quali germi... Ma abbiamo bisogno di avventurarci.

Per fare delle scelte, bisogna scendere nella profondità del proprio essere. Scendere nel buio dell'inconscio corrisponde a trovare quello che è in quanto è prima delle etichettature che ci sono state poste. Ci vuole del tempo da dedicare all'approfondimento personale. Bisogna chiedersi: "Io mi leggo per poter pubblicare?" (altrimenti che pubblico?). E nel momento in cui io entro nella lettura intima, non vi posso trovare i crittogrammi che sono presenti nell'altro, perché l'altro è... un altro e non può essere me. Che tutti gli uomini siano uguali è una delle falsità più diffuse. Non c'è uno uguale all'altro, non c'è una molecola di ossigeno uguale all'altra, non ci sono due gocce d'acqua uguali... L'uguaglianza non esiste!

Ognuno di noi dove si pone? Perché ognuno risponde della propria lettura... Ognuno di noi è in una condizione di nascita permanente...

Oggi vi ho parlato della morte permanente che è la vita permanente, che è una continuazione della nascita. E' importante fare questi collegamenti ed ascoltare per poi entrare nel profondo e mettere in subbuglio tutte le componenti che lo costituiscono prima ancora di leggere il proprio libro. Per il fatto stesso di essere nati, si ha una spinta pulsionale per la vita nella sua totalità. Nessuno può essere sostituito da un altro per scrivere la storia dell'umanità. La scrivono anche quelli che giocano a baskin (pallacanestro per i normodotati che giocano insieme ai diversamente dotati) dove quello che gioca stando sulla sedia a rotelle segna 5 punti se riesce a mandare il pallone nel canestro.

Ma come si fa a conoscere l'alfabeto che consente di leggere in se stessi? L'alfabeto sorge perché le persone nomadi quando si incontravano senza avere una lingua comune, dovevano trovare un sistema per comunicare. Noi, quando vogliamo comunicare con la nostra realtà, dobbiamo innanzitutto metterci in ascolto per vedere... quali panni ci costituiscono. Ci troviamo, così, davanti ai desideri, alle pulsioni, alle preoccupazioni, ecc.. Certamente avvertiamo la fame e la sete e, partendo da questo, ci accorgiamo che il nostro organismo si muove secondo le cose che piacciono e quelle che non piacciono. Tra le cose che piacciono, c'è la libertà. Un bambino che per attraversare la strada viene preso per mano, si ribella, ma viene costretto ad essere tenuto perché le macchine non rispettano il bambino. Del resto, tutto, anche la casa è pensata per gli adulti. Un bambino per accendere la luce è costretto a salire su una sedia e a correre il rischio di cadere perché gli interruttori sono posti in alto...

Non voglio dirvi dove mettere gli interruttori, ma solo darvi una chiave per conoscerci attraverso l'esperienza personale.

Il sistema societario non ti dà il tempo se tu non te lo prendi. Attraversare, per esempio, l'imbutizzazione del seminario e uscirne indenne da pressione e oppressione richiede il dover rendersi conto di volta in volta di quello che non va. Se ti ribelli, puoi essere estromesso. Se ti sottometti sali tutti i gradi del processo gerarchico..

Ma come fa un bambino ad essere libero? Il bambino sta all'interno di un processo molto più grande di quello che si pensa perché maggiore è il processo evolutivo (cominciato parecchi miliardi di anni fa), maggiore è diventato il tempo di maternage. Significa che mentre le tartarughe appena nate vanno subito nel mare, mentre i vermi non hanno bisogno di niente, ecc., il tempo di maternage umano si è accresciuto rispetto alle specie animali. Un bambino ha bisogno di essere nutrito...

Ritornando al discorso dell'alfabeto che stavamo facendo prima, "al" che diventa "la", latte, l'alfa è simboleggiata da una testa di mucca, beta simboleggia il seno da cui esce il latte, la montata lattea è rappresentata dal gamma, il pentolino è delta, ecc.. Quindi, tutto l'alfabeto sorge come comunicazione per l'essere. Infatti, "mangiare" ("edo") in latino si sostituisce con "sum" (essere) perché senza mangiare non si può essere.

Nella cultura occidentale il processo di maternage si è allungato tanto che a... 40 anni i figli stanno ancora a casa dei genitori. In Africa, invece, i bambini già a tre anni circolano liberi tra le capanne del villaggio e vivono diversamente la vita. Da noi che viviamo chiusi negli appartamenti (che richiamano l'apartheid), dove mandi un bambino di tre anni? Non esiste più il clima di famiglia! C'è separazione e non comunicazione. Questa è una difficoltà concreta. Però se si vuole entrare nella dimensione di fede, ci si deve chiedere: "Come posso fare io per non esasperare questo modello che ci allontana?".

Il Mediterraneo, "mare tra le terre", è diventato un confine che separa e non unisce più le terre. Allora vedete che ci siamo talmente abbrutiti da perdere il contatto tra noi.

Nel Bhutan, nel programma governativo, viene inserito quanto serve per la felicità degli abitanti. Da noi questo è inconcepibile e così ci difendiamo solamente da una situazione di malessere totale.

Anche Gesù si è trovato in situazioni difficili, ma davanti a Ponzio Pilato, da imputato divenne giudice. Interrogò a sua volta. Ma noi non sappiamo leggere questo Vangelo. Diciamo che Gesù è morto in croce per i nostri peccati e ci facciamo venire i sensi di colpa che ci sottomettono alla legge del potere. Questo non ha niente a che vedere con Gesù!

Allora ciascuno di noi deve sapere che cosa ha fatto capire a chi gli sta accanto, del messaggio di Gesù. Noi che diciamo di essere un popolo cristiano, siamo, in effetti, i più scristianizzati del mondo.

Garaudy, statista francese, passò dal cristianesimo all'islamismo perché diceva che il cristianesimo fa teologia e filosofia, ma per viverlo bisogna essere musulmani.

Gandhi conosceva e ammirava Gesù. Se lo fece suo, ma non si è mai inserito nella chiesa cattolica.

A Napoli c'è stata l'inquisizione. Ma chi lo sa? E non solo l'inquisizione del 1600, ma quella attuale. Chi sa che a Napoli si sono spretati 100 sacerdoti? Perché quando si prende consapevolezza di certe cose, non si può continuare ad ignorarle e ad andare avanti come se niente fosse. Si dice che la gente non è preparata per le innovazioni e si continua a fare tutto come cent'anni fa. Così l'arretratezza si accumula. Già il Cardinale Martini diceva che la Chiesa è arretrata di 200 anni. Vedete che fatica fa il Papa per cercare di cambiare cosucce che per noi sono scontate...

Per grazia di Dio, i seminari chiudono perché le vere vocazioni aumentano. Allora o tu cerchi di darti da fare per capire e far capire all'altro o ti troverai sempre con chi dice che siccome la gente si scandalizza, non si deve cambiare niente.

E' difficile, ma questo non significa giustificare la pigrizia di non testimoniare perché il rischio è funzionale alla vita. Se Gesù non avesse voluto rischiare, se ne sarebbe stato tranquillo a costruire... casse da morto essendo falegname.

Noi facciamo parte di una società malata. Ci dobbiamo liberare dalla paura altrimenti saremo permanentemente ricattabili e chi è ricattabile deve sottostare.

Fin quando sono gli altri a dover fare, si critica facilmente, ma dobbiamo chiederci: "Io che posso fare?". L'andare avanti è progresso per cui poi si forma la mentalità che essere in una situazione di vitalità vuol dire essere in una situazione artistica che non è quella imbrigliata nei canoni, ma è quella che rompe i canoni.

 

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