Associazione "La Mano Sulla Roccia"

5° INCONTRO DEL 03-02-2020 "MANI TESE": DECRESCITA FELICE ED ECONOMIA CIRCOLARE a cura del Prof. RENATO BRIGANTI docente di Diritto Costituzionale alla "Federico II" TRASCRIZIONE

Buon pomeriggio e grazie per l'accoglienza. Comincio col dire che è molto bello che tante persone decidano di spegnere lo smartphone e accendere la testa per ragionare insieme, incontrarsi e confrontarsi. Già questo vuol dire fare comunità. E' un primo risultato, è una piccola rivoluzione, infatti, che uomini e donne si incontrino e stiano gomito a gomito a scambiarsi le idee. Siete venuti nonostante la... Brexit avvenuta qualche giorno fa e che, secondo gli inglesi, non dovrebbe farci dormire. D'altra parte, quando c'è nebbia sul Canale della Manica, gli Inglesi dicono del resto d'Europa: "Poverini! Sono isolati!". Perché? Perché ciascuno vede se stesso come baricentro di tutto. Parto da questo per parlare dell'economia globale e della decrescita.

Io non sono un economista, ma un costituzionalista. Però insegno alla facoltà di Economia della "Federico II". Per questo motivo porto sempre con me il libretto della Costituzione da cui partirò per cucire i due temi: economia - ecologia e anche diritto - costituzione con economia - ecologia. Poi arriveremo alla decrescita.

Quello attuale è un periodo molto complicato per parlare di queste cose. Non a caso ho citato la facoltà di Economia della "Federico II" dove sono orgoglioso di stare perché è quella di Antonio Genovesi. Innanzitutto c'è da sapere che Federico II, sovrano illuminato, nel 1224 fondò la prima università pubblica d'Europa (qualcuno dice del mondo, ma non tutti sono d'accordo). Certamente erano più antiche le università di Bologna, di Oxford, di Cambridge, però erano per dotti, per privati, per ricchi sostanzialmente, dove si parlava una sola lingua e si professava una sola religione. Invece, Federico II fece insegnare in latino, in greco, in arabo e fece studiare tutte le religioni del Mediterraneo.

Tra quattro anni festeggeremo l'ottocentesimo anno accademico ed io sono orgoglioso della facoltà di Economia che 250 anni fa, fu istituita da Antonio Genovesi che la sostituì a quella di Teologia. Lui si riferiva ad un'economia civile, non ad un'economia finanziarizzata che è quella che viviamo oggi.

Perché parto da questo per parlare di decrescita? Perché dobbiamo capire, prima di entrare nel tema ecologico, che cosa era l'economia e che cosa è diventata.

Partiamo dalle parole che sono importanti perché chi parla male pensa male e chi pensa male agisce male...

"Economia" viene da "oikos" (casa, villaggio in senso più ampio) e "nomos" che è la norma.

All'inizio c'erano delle norme basilari della casa. C'era il baratto, per esempio: io do una cosa ad una persona e questa ne dà un'altra a me. Scusate se banalizzo, ma questo non è un seminario di approfondimento, ma di introduzione alla decrescita. Quindi, mi perdoneranno quelli super avanzati su questo argomento che hanno già fatto altri approfondimenti. Ci arrivo piano piano. Parto da lontano perché i nostri manuali, quando parlano della nascita del baratto, portano sempre gli stessi esempi: un allevatore dà un animale da traino ad un agricoltore suo vicino e questi dà una parte di frumento del suo raccolto all'allevatore.

Questo baratto - dicono gli anglofoni - era "win to win", cioè una vittoria per tutti e due, una cosa di reciproca soddisfazione: "Va bene a te, va bene a me".

Quindi, l'economia era una scienza che, anche se non esatta, se in equilibrio, produceva benessere per tutti gli abitanti di un determinato territorio.

Poi il baratto cominciò ad andare in crisi perché andavano rendendosi necessari i beni fungibili. In pratica: se io posso dare solo mezzo raccolto di frumento perché ci sono state le cavallette o una gelata, io non posso accettare di barattarlo con... mezzo cavallo perché non mi servirebbe come animale da traino. Quindi, non avrei più un beneficio da questo scambio.

Allora si inventarono beni fungibili per antonomasia: prima il sale, poi i metalli, le monete e tutto il resto fino all'attuale card magnetica e ai bitcoin.

Questa moneta ha finanziarizzato l'economia. All'inizio era uno strumento che serviva per migliorare la vita di tutti, ma ora chi ha un capitale non investe più nell'economia reale (da "res", "cosa"), ma investe nei soldi fatti con i soldi. Attualmente il rapporto è di 96 a 4, cioè se io ho un capitale, metterò il 96% in speculazioni finanziarie che mi faranno produrre soldi con i soldi. Sono dei "futures", delle scommesse sul futuro. Non si sa se tornano o non tornano, ma in caso affermativo, è in misura del 50-70% e a volte anche del 100%. In effetti, io vado a disinvestire nell'economia reale che aveva molti vantaggi: 1) cercava di migliorare la vita di tutti; 2) dava lavoro; 3) tendeva a produrre beni utili.

Invece, fare soldi con i soldi ci fa trasformare completamente il mezzo in un fine. Ma il denaro non è un fine, ma il mezzo per migliorare la vita di uomini e donne.

Questo ha drogato tutto il sistema economico finanziario, mortificando moltissimo il livello politico. "Politeia" è la scienza della polis (città), ma non solo di questa. Si riferisce anche all'occuparci delle cose che abbiamo in comune. Ma se la politica si fa prendere le decisioni dall'economia e l'economia dalla finanza, vedete che diventa eterea, diventa come le scatole cinesi, come una matrioska. Queste imprese finanziarie diventano sempre più irrintracciabili perché arrivano sempre più lontano da noi e, quindi, sono a responsabilità molto, molto limitata nel senso che non troviamo mai chi sia il responsabile.

Questa è la storia dei paradisi fiscali, cioè dei luoghi extra territoriali, extra doganali dove la società "Amici di X" è di proprietà del 51% della società "Amici di Y" che però è una finanziaria "Amici di Z" che sta nelle isole Caiman che hanno il segreto bancario per cui non ci diranno mai chi è il responsabile per quell'investimento (se, per esempio, investo in un'attività inquinante) o per quel disinvestimento (perché tolgo posti di lavoro). Tutte e due le cose sono ugualmente colpevoli.

Nella nostra città stiamo assistendo alla tragedia di tanti uomini e donne che lavorano alla Wirlpool.

Fratel Arturo Paoli diceva che siamo responsabili non solo per le scelte che facciamo, ma anche per quelle che non facciamo. Gli elettrodomestici della Whirlpool si vendono ancora, ma il problema è che hanno disinvestito nell'economia reale e hanno mandato i capitali in paesi che hanno prodotti a basso costo e dove si può inquinare, e una parte è messa in titoli speculativi in qualche Borsa per poter guadagnare di più. Quindi, non conviene tenere aperta la fabbrica.

Ho fatto questa premessa perché c'è qualcosa che non va. Se la politica non decide più, vuol dire che non fa più scelte, ma le fa l'economia, ma anche l'economia non è più in grado di farle ed allora le scelte le fa la finanza.

Recentemente Banca Etica ha seguito la vicenda del birrificio di Messina dove da centinaia di anni si faceva una birra artigianale che veniva venduta tutta. Heineken, con sede in Olanda, comprò il birrificio con l'intento di portare la birra prodotta a Messina anche fuori dalla Sicilia. Poi, all'improvviso, Heineken diventò proprietà di un fondo di investimenti di speculazione finanziaria che ha sede in un paradiso fiscale. Quindi, non si è saputo più chi fosse il Sig. Heineken, quale fosse, cioè, il nome ed il cognome del responsabile. Questi fece chiudere immediatamente il birrificio di Messina nonostante non fosse in perdita. Gli operai hanno dovuto ricomprare il birrificio che era stato venduto con i macchinari, grazie ad un prestito di Banca Etica e così hanno ricominciato a produrre e a salvaguardare un prodotto antico artigianale e il posto di lavoro. Questo è previsto dalla Costituzione economica che contempla il ruolo dello Stato e quello dei lavoratori nell'economia. Si parla di cogestione dei lavoratori. In questo caso i lavoratori compratori vengono detti con un termine inglese "workers buyout".

Questo esempio serve per farvi capire che fine ha fatto la politica, che fine ha fatto l'economia, che fine ha fatto la finanza.

Il sistema di fusione tra società produceva fino al 2008, degli agglomerati finanziari mostruosi che in inglese vengono detti "too big to fail" (troppo grandi per fallire) perché portavano a chiudere le piccole banche, a fonderle, a trasferire, per esempio, il Banco di Napoli a Torino unendolo poi a Banca Intesa, ecc.. Tutto questo perché si pensava che più gigantesche erano le cose, più si evitava il rischio del fallimento. Invece, alcune banche sono fallite producendo un effetto domino che è stato gravissimo per i piccoli risparmiatori.

Ora parliamo di decrescita felice. Come dicevo prima, insegno all'Università e poi ho il tempo "liberato". Ci tengo a sottolineare che nella società contemporanea abbiamo meno tempo libero delle società feudali del Medio Evo. Questo per farvi capire in quali condizioni questo frullatore di economia finanziaria ci ha ridotti. Ci sono giovani costretti a fare due o tre lavori sottopagati. Io sto con loro molte ore al giorno e quando chiedo quali siano le loro passioni, dal pianoforte al calcio, alla danza, al basket, ecc., rispondono che sarebbe bello coltivarle, ma non ne hanno il tempo. Nessuno ha più tempo... Perciò io cerco di incontrare le persone nel tempo "liberato". Ho cominciato a fare questo 26 anni fa con "Mani tese", una piccola associazione che ha anche una sede a Napoli e che è la più antica ONG. A "Mani Tese" abbiamo appreso il concetto di "decrescita" e incontrato Serge Latouche che per primo ne ha parlato.

Cominciamo dalle parole che come sempre esprimono il significato delle cose. "Decrescita" non è l'opposto di "crescita" che, invece, è "recessione". Un paese in crescita si misura col segno + accanto al PIL (Prodotto Interno Lordo) che si riferisce all'insieme delle merci comprate e vendute in quel paese. Se c'è il segno + quel paese è in crescita. Se c'è il segno - è in recessione.

Che vuol dire allora "decrescita"? E' un movimento culturale che mette in discussione l'obiettivo assoluto, accecante della crescita quantitativa sopra ogni cosa. La crescita che sta in tutti i manuali dall'idealismo hegeliano in poi e forse anche da prima, ripresa dai Chicago Boys, studenti di economia con Friedman che vinse il premio Nobel per l'economia nel 1976. All'epoca, le loro teorie erano abbastanza accettabili. Dicevano che poteva esserci una crescita infinita finanziarizzando l'economia, cioè oliando, fluidificando l'economia con la finanza, si potevano dare più soldi alle persone e queste avrebbero potuto comprare infiniti oggetti e tutti sarebbero stati più felici.

Questo discorso poteva essere accettato nel 1976, ma non ora. Io non credo nella colpevole programmazione di questo modello di sviluppo. Ritengo che fossero in buona fede ritenendo che tutto il sistema di consumo che poi si è trasformato in consumismo, producesse felicità.

L'obiettivo che abbiamo ora è quello di liberarci da questo concetto che ci è stato trasmesso e, cioè, che chi più ha, più è. Quindi, tu sei se hai più oggetti per cui devi consumare e produrre in continuazione. Questo è il meccanismo che dovrebbe generare la felicità delle persone!

Ma in esso ci sono almeno tre errori:

1) Non puoi avere una produzione illimitata perché le materie prime sono limitate. Le risorse non sono infinite. Se qualcuno in passato non sapeva questo, oggi non può ignorarlo. Anche l'acqua che sembra infinita per il ciclo della pioggia, in realtà non è così perché se noi contaminiamo quest'anno il 2% di acqua dolce potabile (che tra l'altro è il 3% del totale perché la maggior parte dell'acqua è salata), l'anno prossimo avremo il 98% di acqua potabile. Se la contaminiamo, diminuisce. Quindi, è molto grave illudere tutti che l'acqua sia infinita. Per fare un litro di Coca Cola occorrono 10 litri di acqua potabile!... Più aumentiamo questo modello basato sul consumismo, più andiamo in crisi sul primo punto, cioè sulle materie prime.

2) Nel 1976 non ci si era posto il problema dei rifiuti. Non possiamo proporre un modello di sviluppo lineare basato sull'uso e getta infinito di merci residuali. Ovviamente, per ogni sacchetto della spazzatura che noi gettiamo ce n'è un'altra montagna che raccoglie quello che è servito a produrre le cose che abbiamo in casa. Quindi, non dovete pensare solo allo smaltimento degli RSU (Rifiuti Solidi Urbani) perché quella è solo la punta dell'iceberg. Il problema è tutto il resto che non si smaltisce se non cambiamo forma mentis e modus operandi, altrimenti produrremo sempre più rifiuti. Dobbiamo arginare questo tipo di sviluppo lineare che spinge all'uso e getta.

Io ho regalato borracce agli studenti di un piccolo master che dirigo e che ho chiamato "CAFFE'" (Corso Alta Formazione Finanza Etica). Anche a "Mani Tese" abbiamo le borracce. Esistono anche i bicchieri che si piegano e che possono essere portati in tasca.

3) Siamo passati dall'uso e getta delle cose all'uso e getta delle persone. Abbiamo messo in un frullatore anche le persone che lavorano. Quando Papa Francesco parla delle "pietre scartate" si riferisce al fatto che stiamo facendo aumentare all'inverosimile non solo i rifiuti urbani o l'isola di plastica nell'oceano, ma stiamo facendo aumentare anche gli scarti umani, le persone escluse dal benessere. Ricordiamo che la Sig.a Thatcher si era inventato questo acronimo: "T.I.N.A." (There Is No Alternative). Non c'è altra alternativa. L'unico modello economico era quello consumista.

Come si fa a dire questo all'Università? I ragazzi devono cercare strade parallele, non battute, devono educarsi al pensiero critico. Si deve insegnare che ci sono alternative e bisogna cercarle tutti insieme.

Siamo passati da un pasto al giorno che si faceva nel dopoguerra a due pasti e poi a tre pensando di essere più felici. Ma negli U.S.A., aumentato l'accumulo e il consumo di cibo, sono aumentate le malattie cardiovascolari e circolatorie dovute all'obesità e che sono la prima causa di morte nel paese.  

Quindi non è vero che se ho più cose sono più felice! E per quanto riguarda i vestiti, averne cento invece di quelli strettamente necessari per l'estate e l'inverno, siamo sicuri che aumenta la felicità?

L'aumento quantitativo, dunque, non corrisponde all'aumento qualitativo della vita.

Qui introduco la differenza che mi sta molto a cuore, tra i parametri solo econometrici, cioè misurati solo quantitativamente, e la qualità della vita. Il P.I.L. non ci dice niente sulla qualità della vita degli uomini e delle donne che vivono in un determinato paese. Bob Kennedy diceva che il P.I.L. ci racconta tutte le cose che compravendiamo, ma non ci dice il motivo per cui vale la pena di vivere. Cioè ci dice tutto tranne le cose importanti.

Ora vi faccio due esempi che ho studiato da vicino:

1) Il Giappone aveva il P.I.L. nero nei mesi precedenti lo tsunami che fece esplodere la centrale nucleare di Fukushima nel 2011. All'improvviso, il P.I.L. crebbe. Quindi, mentre prima della catastrofe c'era il segno - al P.I.L., dopo ci fu il segno + per la produzione e la vendita dei farmaci e per la ricostruzione di quello che era stato distrutto. Ma stavano meglio prima o dopo? Prima! Il Giappone aveva, tutto sommato, una migliore qualità della vita. Ma se si legge il paese solo con gli occhiali econometrici, quantitativi del P.I.L., si pensa che tutti sono stati più felici dopo.

2) Nel Sudan c'è una situazione molto complessa. Il Sud si staccò in seguito ad un referendum. Nel Sudan c'è il Darfur, una regione ricca di petrolio, ma molto povera perché c'è la guerra per il petrolio. Prima che arrivassero le trivelle, il P.I.L. era -, però il tenore di vita era accettabile perché il benessere era spalmato e si sopravviveva con quello che si coltivava. Trovato il petrolio, scoppiò la guerra e il P.I.L. si impennò come succede in tutti i paesi in guerra dove raggiunge livelli altissimi.

Quindi, quello che voglio dire è: siamo sicuri che inseguire solo il P.I.L. sia valido per la crescita? Se analizzate i discorsi introduttivi che fanno i Presidenti che si insediano dopo aver ottenuto la fiducia, noterete che tutti dicono: "Il mio obiettivo sarà la crescita".

Allora, questi pensatori, filosofi, economisti, ecc. hanno cominciato a voler fare una provocazione usando il termine "decrescita" per far capire alle persone che dobbiamo "decolonizzare l'immaginario" (come dice Latouche), cioè ci dobbiamo togliere le colonie mentali che abbiamo radicate nella testa e che ci hanno convinti che dobbiamo crescere a dismisura.

Ora voglio spiegare la differenza tra merci e beni. Non tutte le merci sono beni e non tutti i beni sono merci. Per lungo tempo ci hanno convinti che i due termini fossero sinonimi. Ci sono addirittura delle lingue che hanno un'unica parola per denotare merci e beni.

I beni sono le cose che compravendo e che posso scambiare con un contratto. Ma io compravendo tutte le cose che mi servono? No! Ci sono molte cose importantissime, per esempio, i beni relazionali che non sono in compravendita. Io non sono ricco solo per il mio stipendio o per le cose che ho a casa, ma sono ricco per le relazioni che ho, per l'amore...

Quindi, la qualità della vita è orientata da moltissimi beni relazionali che non sono merci.

Ancora: non tutte le merci sono beni nel senso che ci servono. In Italia, per esempio, abbiamo il 40% di dispersione energetica che vuol dire che in media il 40% di energia che io compro (quindi merce), non mi serve perché la spreco.

Oggi, nove tesi di laurea su dieci ad architettura sono su bioarchitettura, casa passiva, ecc. Che vuol dire? Io posso anche non comprare per forza energia proveniente da fonti fossili e, quindi, non rinnovabili, ma rinfrescare e riscaldare la casa con la bioarchitettura, con un tetto isolante fatto con erba e terreno, posso coibentarla, cioè isolarla in modo che si può riscaldare e rinfrescare senza comprare merci. Il bene è quello di stare caldi quando fa freddo e stare freschi quando fa caldo. L'obiettivo non è quello di comprare più carbone o più gas da Putin o petrolio dai libici. L'obiettivo non è quello di crescere per forza, ma riscaldarsi o rinfrescarsi. La casa passiva può anche consumare poco più di zero se viene costruita con determinati criteri. E' possibile.

Prima ho parlato dell'acqua. Ora arrivo al tema della responsabilità. Noi tendiamo a dire che le cose non funzionano perché qualcun altro (di solito dall'alto) non ha fatto il suo dovere. E' vero che abbiamo una classe politica molto... modesta. Però, chi l'ha votata? Noi! E' un principio costituzionale quello che dice che spetta a noi eleggere pro tempore i nostri rappresentanti. Ma come li abbiamo scelti se non fanno bene il loro lavoro?

Ecco perché io faccio tutti questi incontri e accetto inviti affettuosi dappertutto in quanto, secondo me, questi momenti comunitari in cui ci si scambiano idee e si parla, sono un embrione sano della politica.

Don Lorenzo Milani, nella sua scuola di Barbiana, spiegava: "Se abbiamo tutti un problema ed io risolvo solo il mio, questo si chiama egoismo. Ma se risolviamo un problema comune tutti insieme, questo si chiama politica".

Fare politica vuol dire rimboccarsi le maniche e cominciare a fare pressione, ma prima dobbiamo prenderci la responsabilità delle nostre azioni. Gandhi diceva che dobbiamo innanzitutto essere dentro di noi quello che vorremmo vedere fuori.

Vi faccio quest'altro esempio sulla decrescita. Ogni sciacquone dei gabinetti, in Italia, contiene, in media, 10 litri d'acqua potabile. Uno dei Lander tedeschi ha fatto un esperimento su una legge di iniziativa popolare: obbligare ogni edificio di nuova costruzione a mettere una cisterna sotto il lavello della cucina per raccogliere il risciacquo delle mani, della verdura, ecc. per poi immetterla negli sciacquoni che devono essere due: uno di 4 litri ed un altro di 9 e non uno solo di 10 litri d'acqua, non importa se non più potabile. Sono meno felici i tedeschi che hanno fatto questa scelta?

Cerchiamo però di non ritenere queste cose come un ritorno al passato ad autoflagellarci. Decrescita è capire che cosa ci serve veramente, che cosa incide veramente sulla qualità della vita.

Secondo l'ISTAT, in ogni casa entrano 16.000 oggetti all'anno di cui il 92% sono della categoria "usa e getta". I miei studenti sono... angosciati perché una pubblicità martellante dice loro che non sono nessuno se non hanno l'ultimo cellulare che fa i selfie in movimento al costo di 600 euro. Ci sono studenti che cambiano cellulare ogni 6 mesi! Dovremmo allora parlare del coltan, del cobalto, del Congo, ma non è questo il momento.

Ritornando all'acqua potabile, ho fatto con P. Alex Zanotelli una campagna perché rimanesse pubblica. L'acqua della nostra Regione è eccellente, ma con un colpo di mano, approfittando della nostra distrazione, anni fa era stata privatizzata. E' stata una sconfitta per noi napoletani venirlo a sapere da Alex, proveniente dalla baraccopoli di Korochocio, alla periferia di Nairobi.

La nostra acqua è studiata da professori di igiene e tossicologia di mezza Europa. La sua qualità viene controllata al contatore sei volte al giorno ed è eccellente. Però l'ABC (Acqua Bene Comune) non garantisce l'acqua che va dal contatore al rubinetto perché la responsabilità di questo tratto è del condominio. Quindi, se ci sono delle impurità o dei detriti, questi sono dovuti alla scarsa manutenzione dei tubi. Io ho fatto analizzare l'acqua in vari luoghi ed è stata trovata eccellente dappertutto. Non esiste acqua migliore di quella del rubinetto a Napoli. Del resto, basta applicare un filtrino che blocca i detriti. Così non si consuma petrolio perché le bottiglie di plastica hanno origine dal petrolio e poi diventano rifiuti. E' vero che se le mettiamo nelle campane giuste vengono riciclate, ma il problema sta a monte ed è quello di averci convinti di dover bere l'acqua minerale.

In Campania il maggior consumo di acqua minerale è registrato a Castellammare che ha 27 sorgenti naturali di acque minerali meravigliose, ma l'acqua viene acquistata in bottiglie e la più consumata è l'acqua Vera che è della Nestlè e che viene dalle Dolomiti. Il che vuol dire che l'acqua viene messa nella plastica, caricata in camion inquinatissimi e trasportata dalle Dolomiti a Napoli dove ci convincono che sia migliore di quella del rubinetto. Ma le bottiglie d'acqua di plastica messe sotto il sole o esposte all'umidità dove vengono stoccate, secernono cancerogeni. Noi non sappiamo che storia ha avuto ogni bottiglia.

I professori di igiene e tossicologia hanno fatto una campagna chiamata Uniaquam in tutti i poli universitari perché i risultati prima ancora di essere pubblicati, vengono comunicati agli studenti e ai colleghi. A S. Giovanni a Teduccio dove c'è un nuovo polo universitario, ci sono le "nuove fontanelle" e su ognuna il rettore Gaetano Manfredi (oggi ministro) ha fatto applicare un QA code. Gli studenti lo scansionano col cellulare ed hanno le analisi dell'acqua in tempo reale.

Ci eravamo fatti rubare l'acqua pubblica, ma poi siamo riusciti a trasformare l'A.R.I.N.  Spa (Azienda Risorse Idriche Napoletane - Società per Azioni) in ABC (Acqua Bene Comune - Azienda speciale di diritto pubblico).  Se avete qualche dubbio sulla potabilità dell'acqua, portatene un campione all'ARPAC per farlo analizzare. Il sindaco ne risponde penalmente, ma l'acqua non era l'argomento di oggi.

Ritornando al discorso sul cellulare da cambiare, vi è l'obsolescenza che può essere programmata o percepita. La prima consiste nel programmare un oggetto per la discarica, cioè vendere delle cose che si fanno vecchie presto e si rompono in modo da essere buttate e sostituite immediatamente. La stampante Epson, per esempio, costa poco, ma il problema è la cartuccia che costa 50 euro. Se si inceppa perché programmata così e volete cambiarla, vi dicono che piuttosto vi conviene acquistare un'altra stampante invece della cartuccia. Questo programma di obsolescenza è devastante. Mentre una volta c'erano i beni durevoli, programmati per durare molto tempo, oggi se si rompe la guarnizione o un fusibile, per esempio, di un frigorifero, vi dicono di cambiarlo.

C'è anche l'obsolescenza percepita. Esempio: mia nipote ha uno zaino perfettamente utilizzabile, però la pubblicità massiccia la convince che lei deve assolutamente cambiarlo... Pensate quanti giovani, culturalmente più deboli, aggrediti dalla pubblicità, si convincono che le tante cose che hanno, anche se perfettamente funzionanti, siano obsolete. Noi che abbiamo più strumenti culturali, cerchiamo di aiutare i ragazzi a modificare il messaggio: "Tu non sei nessuno se non hai una determinata cosa".

Questo poteva andare bene nel '900 quando si diceva: produciamo all'infinito, assumiamo molte persone a lavorare, queste guadagnando possono consumare, però devono buttare via le cose in modo da ricomprare e dare posti di lavoro, ecc..

Ora non possiamo più pensare che si producano dei posti di lavoro perché l'industrializzazione ha ridotto l'impiego delle persone sostituendole con le macchine. Inoltre c'è il problema che buttando via tanti oggetti, non sappiamo come smaltirli.

Quindi, l'economia circolare consiste nel trasformare i rifiuti in materie prime seconde che vuol dire che se finisce la materia prima, si può usare la seconda. Esempio: invece di fabbricare la carta con la cellulosa degli alberi abbattuti, si ricicla la carta. Invece di usare altro petrolio, si ricicla la plastica. Potrei fare migliaia di esempi di questo tipo.

Ma come fa ad entrare tutto questo nella mente delle persone? E' un problema di comunicazione. La soluzione, sia chiaro a tutti, non può essere semplice se il problema è complesso. Di fronte a problemi articolati e complessi noi dobbiamo cercare di proporre soluzioni articolate e complesse. Il tema della comunicazione è molto importante perché la responsabilità di comunicare la necessità di cambiamento così come è, non risiede in un solo ente.

La parrocchia ha delle responsabilità e delle potenzialità. Quella di ospitare degli incontri su questi temi è già un'attività importante. Anche l'università si deve assumere le sue responsabilità perché abbiamo formato per anni degli economisti monodirezionali, orientati solo alla quantità e non alla qualità della vita. Si deve assumere la responsabilità la scuola, ma non solo, perché la comunità educante è anche la famiglia, la tv, ecc..

Quindi, quello che dobbiamo cercare di comunicare è:

1) la speranza di cambiamento e questa speranza è possibile;

2) vi stanno lavorando già molte persone.

Papa Francesco che ha scritto l'enciclica "Laudato si'", ha convocato per il 26, 27 e 28 marzo tutti gli economisti del mondo per studiare la nuova economia sostenibile del futuro.

Mi sono emozionato quando il 21 giugno dell'anno scorso, poiché insegno queste cose, tra cui l'economia circolare alla pontificia Università Teologica dell'Italia Meridionale "S. Luigi", sono stato chiamato tra le 500 persone (250 invitati e 250 professori) a questo appuntamento di marzo dove andrò insieme a tanti ragazzi e ragazze che studiano queste cose.

Questo per dire che non siamo solo quei pochi che fanno il commercio equo a Mani tese o hanno scelto la Banca Etica, anche questo, ma non solo. Ci sono tante articolate soluzioni che devono andare verso un cambio di mentalità e questo condurrà ad un cambio di azione. Quindi, io i passaggi li vedo sia dall'alto che dal basso. Si dice: "Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce"...

Stando molto a contatto con i giovani, io vedo moltissimi segnali di cambio di rotta: economia circolare, formazione di piccole cooperative, pulizia dei parchi, ecc.. Insomma, vedo degli indicatori importanti.

Nell'aula magna della vecchia facoltà di economia a via Partenope c'è un meraviglioso soffitto di legno intarsiato simile a quello (più vecchio) dell'aula magna dell'università di Cambridge. Lì mi hanno fatto vedere che quando sono intervenuti nella controsoffittatura per riparare il tetto marcito, hanno trovato un cilindro lasciato dall'architetto che aveva fatto quel soffitto. Dentro c'era scritto: "Queste travi sono di quercia secolare. Durano 100 anni e poi marciscono. Io ho piantato delle querce nella terra di proprietà dell'università che ora saranno pronte per sostituire quelle marcite. Però, poi piantatene altre per il futuro".

Perché vi ho raccontato tutto questo? Perché pensare al futuro vuol dire pensare ad un'economia sostenibile, "bastevole" - come dice Cacciari - che noi possiamo consegnare alle nuove generazioni che è poi quello che dicevano i meravigliosi padri e madri della nostra assemblea costituente. Loro pensavano alle future generazioni e non alle... prossime elezioni.

Oggi abbiamo il primo settore che è l'economia pubblica (lo Stato) che va dall'università all'ASL; il secondo settore che è l'economia privata di mercato con scopo di lucro; il terzo settore che è formato dalle associazioni, dai comitati, dalle cooperative senza scopo di lucro che fanno economia sostenibile.

Questi tre settori devono interagire.

Io coordino una scuola di formazione di tutto il forum del terzo settore, cioè di tutte le associazioni per un semestre all'anno, sull'economia sostenibile e sulla democrazia della partecipazione che si deve affiancare alla democrazia della rappresentanza, altrimenti non si può avere un terzo settore. Ce ne stiamo a casa a volere tutto dal primo settore e a maledire il secondo settore per l'inquinamento. Il terzo settore deve lavorare col primo e col secondo perché se non esercitiamo questa democrazia di partecipazione, la democrazia stessa non è completa. Non basta andare a votare ogni tanto. Nella Costituzione non c'è scritto che si può scegliere se essere cittadino attivo o passivo. L'opposto di cittadino attivo è suddito. Il cittadino o e attivo o non è cittadino.

Esiste la norma 117 del 2017 che dice che tutti i piani sociali di zona, i piani ecologici, i piani territoriali devono essere fatti dal primo e dal terzo settore in armonia col secondo.

Nel 2019 abbiamo avuto, rispetto all'anno prima, + 25% di associazioni sommerse che hanno deciso di emergere ed iscriversi all'albo. Purtroppo oltre al "for profit" e al "no profit", in Italia c'è anche... l' "approfit", cioè una zona grigia in cui si camuffano degli enti a scopo di lucro, ma non si deve generalizzare. Avviene lo stesso anche in politica. Non è che tutti i politici siano da... buttar via. La politica è una cosa necessaria. Ma tanti non vanno più a votare...

Ma con l'economia durevole non si riducono i posti di lavoro?

Bisogna innanzitutto tenere presente il "greenwashing" che vuol dire "pulire la facciata di verde" e fare attenzione a quelli che chiamano sostenibile o etico quello che non lo è. C'è la Nestlè che è una pessima multinazionale che ha fatto un prodotto di caffè biologico. A noi non interessa ragionare sul prodotto, ma sul processo di lavorazione. Bisogna creare dei posti di lavoro, ma di qualità, che rispettino la dignità del lavoratore adulto. Non ci possiamo nascondere di fronte a 600 milioni di lavoratori al di sotto dei 14 anni. Non possiamo accettare di produrre cose decentrando la produzione nel Sud-est asiatico, nella zona subsahariana e nell'America Latina permettendo lo sfruttamento minorile. Il punto non è la quantità dei posti di lavoro, ma la qualità e la dignità dei lavoratori.

Ma l'obsolescenza programmata non è giustificata dal fatto che un elettrodomestico, per esempio, che al suo sorgere aveva una grande diffusione e che oggi ormai tutti lo posseggono, deve per forza rompersi per poterne acquistare un altro? Se non si fa così, non è che si perdono posti di lavoro?

C'è la riconversione che dobbiamo fare anzitutto nella nostra testa e poi ragionare anche sui tempi. Esempio: l'ILVA di Taranto è un territorio sanguinoso per noi perché bisogna scegliere tra il mantenere i posti di lavoro o l'inquinamento. Dieci anni fa i tedeschi hanno riconvertito tutti i distretti produttivi simili alla nostra ILVA. Se l'avessimo fatto anche noi, ora avremmo tutto a posto e neanche un operaio espulso dal lavoro.

Non basta solo la riconversione culturale, tecnica e operativa. Esempio: mio nonno ha usato una sola penna stilografica, un solo rasoio e un solo accendino ricaricabile. Poi la multinazionale BIC ci ha venduto penne, rasoi e accendini usa e getta. Io non voglio dire che la BIC non doveva creare posti di lavoro, ma che questo sistema poteva andare bene nel '900. Oggi nessun posto di lavoro può essere giustificato con questa impronta ecologica. Non si può più fare.

Con Mani Tese abbiamo fatto la campagna per la messa al bando delle mine antiuomo che scoppiano anche se calpestate da un bambino o da un cane. L'Italia ne era la principale produttrice con gli stabilimenti Valsella in Piemonte. Anche allora ci dicevano: "E gli operai?". Allora abbiamo riconvertito la Valsella in una fabbrica di pentole senza creare disoccupati.

Abbiamo cambiato la forma mentis: non vogliamo produrre morte perché le mine sono una cosa inaccettabile come tutte le armi. Però, mentre io uso una pistola contro chi ha deciso di combattere, la mina uccide chi non ha fatto questa scelta.

Quindi, riconvertiamo. Ma dobbiamo mettere dei punti fermi che non erano conosciuti nel '900.

 

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