Associazione "La Mano Sulla Roccia"

01-10-2022 Incontro-dibattito in occasione della Giornata Mondiale delle Persone Anziane con trascrizione dell'intervento di ANTONIO MAIONE

01-10-2022  Incontro-dibattito in occasione della Giornata Mondiale delle Persone Anziane con trascrizione dell'intervento di ANTONIO MAIONE

 

Incontro-dibattito in occasione della Giornata Mondiale delle Persone Anziane presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli con la partecipazione di Antonio Maione, socio dell’Associazione “La mano sulla roccia” che ha parlato sul tema “Dare agli anziani la felicità”. L’oratore ha messo in risalto l’importanza della libertà e delle relazioni che rendono dinamica e felice la vita dell’anziano.

"Dare agli anziani la gioia" (trascrizione dell'intervento di ANTONIO MAIONE)

Il Teologo pastoralista si occupa di quel settore della teologia che media il dato rivelato con il dato antropologico. E’ quello che fa la traduzione di ciò che è stato detto dal punto di vista di fede per gli uomini che sono immersi nella storia. Il che significa che deve avere la capacità di cogliere quello che è stato detto e quello che le persone vogliono ascoltare. Se non c’è questa capacità dialogale, la teologia è fallimentare, cioè non c’è il passaggio da una teologia dogmatica ad una teologia dinamica.

La teologia contemporanea non è più basata sul determinismo ereditario, ma si inserisce nel processo biologico in movimento permanente. La dinamica non può essere elemento disturbante, ma elemento costitutivo, cioè come l’eccezionalità non è un elemento che va a disturbare, così avviene all’interno della teologia dove l’eretico non è quello che disturba ma quello che attiva la mentalità per adeguare il messaggio divino all’uomo nella sua concretezza.

Il congresso ha una grande importanza perché toglie dal sepolcro della continuità didattica, la possibilità di far emergere la vita. La vita ci riguarda non quando siamo anziani, la vita ci riguarda permanentemente perché ci può essere il vecchio che non ha dinanzi a sé altro tempo da vivere e ci può essere il vecchio che ha dinanzi a sé una vita senza fine, la vita eterna e quindi è un giovane.

Ci fu una persona che ha dato all’uomo la possibilità di avere la vita. La vita non la si può dare se non la si possiede. Noi l’abbiamo per accidens, di traverso. Uno solo ha detto: “Io sono la vita” e quest’uno si chiama Gesù Cristo che è l’unico sacramento, cioè il segno che ci apre la prospettiva di avere una vita che non ha termine.

La vita a termine produce l’angoscia permanentemente che dà origine all’ansia (da cui viene “ansiano”, “anziano”).  L’anziano è quello che ha sempre l’ansia. Ma nel vocabolario non trovate “ansiano”.

L’angoscia è sentirsi “stretto all’angolo”, non avere la prospettiva larga di libertà. Si ha la libertà interna quando si prende contatto con la vita che è quel movimento permanente che implica intrinsecamente la possibilità di non avere ostacoli.

L’anzianità è la “libera età”. C’era una rivista a Napoli tempo fa con questo nome… L’età è libera quando le costrizioni vengono a mancare. Se il processo educativo anziché essere tale e facilitare l’originalità della persona che è unica ed irrepetibile, ne ostacola l’espressione costringendola ad essere un… “impiegato” permanente, la persona avrà paura della morte. Anzi è già morta. Non potrà neanche morire perché per morire bisogna essere… vivi! Se non siete vivi non potete morire!

Un anziano (Nicodemo) si presentò di notte al contatto con la Vita (Gesù): “Che devo fare per essere felice?”. “Devi rinascere!” cioè: “Devi uscire da un modello mortifero” perché la morte in qualsiasi momento accada, tra un anno, due o dieci, permanentemente genera l’angoscia. Se, invece, io ho la possibilità di gestirmi la morte e me la posso centellinare, allora mi vivo la morte e non è questa che mi strappa alla vita. Il discorso è di fondo e qui faccio riferimento a Chi ha il messaggio di gioia: “Sono venuto perché abbiate la gioia e l’abbiate in abbondanza”.

“Averla in abbondanza” vuol dire esserne talmente pieni da farla traboccare. Se uno possiede la gioia può darla, ma se non la possiede non la potrà mai dare. E se non c’è gioia non c’è motivazione alla vita e se non c’è motivazione alla vita ci sarà sempre la frustrazione e la frustrazione genera l’aggressività. Maggiore è la frustrazione, maggiore è l’aggressività e maggiore è l’aggressività, minore è il suo raggio di scarico. Quindi, il soggetto se la prende con se stesso e si mette in un cantuccio senza avere il diritto a vivere, ad esistere.

Gli anziani a volte muoiono non per fame, ma per solitudine. Chi è solo e resta da solo si… desola. La desolazione è l’origine del suicidio. Se invece trova altri soli con i quali può entrare in una relazione profonda, allora si…consola.

Una volta ho avuto a che fare con una vecchietta di 97 anni che mi diceva di avere ancora i “bollori della carne”. Però poi è morta quando è morto il figlio, perché le era venuta a mancare una relazione privilegiata in quanto la madre è “mater” è quella che genera la materia per la relazione fondamentale che è quella tra madre-figlio. Solamente quando noi entriamo nella dimensione della relazionalità, sottraiamo l’anziano all’angoscia del tempo che passa.  A volte la successione del tempo cronologico va ad intaccare il tempo cairologico, quello della qualità, e l’assorbe, ma se c’è la possibilità di far entrare l’anziano nella chiriologia, nella padronanza del tempo, questo significa fargli capire che la vita non lo può abbandonare. Quindi, donare la felicità all’anziano significa stabilire una relazione al di là dei progetti a termine che producono la stessa angoscia della morte perché l’uomo non è fatto a termine, ma è fatto per sempre, per l’infinito, per l’amore.

Ecco perché l’amore porta alla conclusione. Quando l’anziano Nicodemo incontra di notte  Gesù, si incontrano le tenebre con la luce. Nicodemo era un anziano (Gv. 3,14-21).

Io sono anziano da molti decenni perché il prete si dice che è un presbitero che significa “anziano” per la saggezza (che non sempre ha). Non è che si è saggi per il fatto di essere prete. La saggezza arriva attraverso il processo esperienziale e l’esperienza è un parto permanente. Dall’aspetto epifenomenico e da quello personale va a costituirsi la robustezza del soggetto che va al di fuori di ogni paura perché la paura corrode l’esistenza sempre, anche a vent’anni. Ci sono delle fobie che danno alla persona dei limiti molto più gravi delle atrofie. Ci possono essere una quantità di elementi che impediscono l’espressione della persona che è tale perché è “super suono”, che emette un suono unico, irrepetibile che ha la necessità di raggiungere gli altri. Quando avviene questo incontro, l’altro deve essere rispettato nella sua alterità e il soggetto si recupera nella propria identità. Allora si stabilisce il dialogo che è fondamentale per uscire dalla strettoia che lo porta all’esperienza della morte.

La relazionalità è un aspetto fondamentale che entra nella dialogalità. Può essere di tipo aggressivo o competitivo o passivo (che è il tipo peggiore: “Tu ci sei, ma io ti cancello”). Può essere di tipo assertivo: “io dico la mia e ti lascio dire la tua”. Il tipo migliore è la relazione prosociale: io ti arricchisco della mia esperienza e sono disponibile ad arricchirmi della tua”.

In questo reciproco scambio, anche il moribondo si può sentire utile.

Una volta fui chiamato per un uomo che stava in coma. Lo chiamai per nome. C’erano i figli attorno e lui disse: “Buttali tutti fuori”… La relazione non è una dimensione di sangue, ma una dimensione di affinità, un fenomeno empatico, si può entrare in empatia, in simpatia, in comunicazione profonda anche per pochi minuti.

Fui chiamato anche per un altro che stava morendo. Non poteva parlare con nessuno e si strappava la flebo. Non lo conoscevo, ma finsi il contrario per provocarlo. Gli chiesi: “Come state? Volete dire qualcosa? Volete un po’ d’acqua”. Lui aprì la bocca e si fece scendere qualche goccia d’acqua, poi con uno spicchio di pera riprese ad alimentarsi. L’alimento è l’alito, l’alunno che prende contatto con la vita nella sua dinamicità. Questa riflessione non riguarda gli anziani nell’astrattezza, ma noi nella qualità di vita che svolgiamo quotidianamente.

Io ho i miei primi 86 anni e zappo ancora. Ho piantato le comarelle che sono ortaggi che si mangiano crudi. Ho piantato anche piante pakistane a giugno che hanno già dato i frutti adesso.

Vi auguro i migliori frutti per la vostra vita.

 

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